Il giorno di Natale entriamo in chiesa pensando di ascoltare la famosa narrazione di Luca sulla nascita di Gesù nella mangiatoia di Betlemme,[1] ma nella liturgia della parola siamo sorpresi da un testo con un’alta densità teologica conosciuta come il Prologo del Vangelo di Giovanni.

 

1In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. 2Egli era in principio presso Dio: 3tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. 4In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; 5la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta. 6Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. 8Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce. 9Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.  10Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe. 11Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. 12A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, 13i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. 14E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre,  pieno di grazia e di verità. 15Giovanni gli rende testimonianza e grida: “Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me”. 16Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. 17Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. 18Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato. [2]

 

Nel Prologo vediamo la profondità della relazione d’amore tra Dio e l’umanità. L’espressione iniziale ci ricorda la Genesi: “in principio.”[3] Questa espressione usata dall’evangelista non indica l’alba della creazione come l’autore del primo libro della Scrittura, ma denota la trascendenza e l’eternità di Dio. Giovanni ci sorprende chiamando Gesù “Parola“. Perché siamo abituati a chiamarlo Cristo, Messia, Signore, Salvatore… Giovanni è l’unico evangelista che chiama Gesù in questo modo: “Parola“. È il termine greco “Logos“, che in latino corrisponde al “Verbo” e in italiano è tradotto per “Verbo” o “Parola“. Il giorno di Natale la Chiesa celebra l’arrivo della “Parola“, la nascita del Dio Bambino.

 

Giovanni inizia il suo vangelo con questo Prologo che istruisce e introduce i suoi lettori sui grandi temi, come quello della Luce e della Vita. Nel Prologo l’evangelista ci dà una chiave per leggere la sua opera. L’autore mostra Dio che entra in un dialogo di amore con l’umanità attraverso la sua “Parola” che si fece carne.

 

Dio stesso, eterno e infinito, prende l’iniziativa di nascere in mezzo a noi. Il fragile bambino della mangiatoia, che piange, sente freddo e riceve la cura della giovane Vergine Maria agli occhi di Giuseppe,[4] è la “Parola” di Dio rivolta a ciascuno di noi, è Dio stesso: “e la Parola era Dio.

 

A Natale siamo chiamati a contemplare Dio che diventa un Bambino piccolo e fragile. Non è difficile credere nell’esistenza di Dio. Ma credere nel Dio che diventa un bambino, che nacque nella grotta di Betlemme, il figlio della giovane e umile Vergine Maria, che rimase incinta dallo Spirito Santo quando fu promessa sposa di Giuseppe è almeno sconcertante. Dio viene ad incontrarci; vuole parlarci e salvarci attraverso un bambino. “E la Parola si fece carne.” Ecco la nostra fede.

 

Gesù ci parla di Dio fin dalla sua nascita. Lui è la “Parola” rivelatrice. In tutta la sua persona, nelle espressioni e nei gesti, tutto rivela e indica il Padre. In Gesù tutto comunica Dio, Egli è la “Parola” che Dio indirizza all’umanità: e “la luce splende nelle tenebre“.

 

Di lui, “l ‘Agnello di Dio[5], Giovanni il Battista ha testimoniato:Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.” Giovanni il Battista fu illuminato dalla luce della “Parola” di Dio che venne nel mondo, ma il profeta che lavorava sulle rive del fiume Giordano non era la luce ma solo un riflesso della vera luce. Il Battista era testimone della luce. Gesù è “la luce vera, quella che illumina ogni uomo.” I discepoli e con loro tutta la Chiesa – noi – siamo chiamati a rendere testimonianza di Gesù, la vera “Luce del mondo.”[6] È attraverso la nostra testimonianza nella vita quotidiana che la luce di Gesù brilla per il mondo intero.

 

Nella parte centrale del Prologo abbiamo una solenne affermazione: A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome.” Non tutti hanno accolto la luce vera e genuina. Molti rifiutano Dio che è diventato Parola – “eppure il mondo non lo riconobbe.” Ma chi accoglie questa Parola è generato da Dio stesso che introduce nel mondo il germe della vita divina: i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati.”

 

Secondo il Vangelo di Giovanni, il Bambino Gesù è la “Parola di Dio si fece carne“, l’incarnazione del Figlio di Dio: “ E la Parola si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.” Nel fare carne assume la fragilità umana, diventa come uno di noi, cioè mortale, limitato … tranne nel peccato, come osservato dall’autore anonimo della lettera agli Ebrei che vede in Gesù la “irradiazione della sua gloria.[7]

 

Attraverso questa “carne” possiamo vedere la gloria del Padre: “e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.”. La gloria indica la manifestazione dell’amore di Dio. È solo all’orizzonte della logica dell’amore che possiamo comprendere il significato dell’incarnazione della “Parola” da cui riceviamo “grazia su grazia“.

 

Nella semplicità del Bambino della mangiatoia c’è Dio, il Creatore, l’Onnipotente, l’infinitamente grande che si manifesta nella fragilità di un bambino nato dalla Vergine di Nazareth. L’eterno diventa mortale, l’invisibile diventa visibile, l’Onnipotente diventa fragile. Non possiamo accogliere o accettare nulla al di fuori dell’orbita del dono della fede. Come accettare che l’Onnipotente, “il Signore degli eserciti“,[8] diventi carne, “nato da donna[9] e si accampi con la sua tenda in mezzo a noi?

 

Dio, che nessuno ha mai visto, è rivelato da Gesù – “Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.” Coloro che hanno camminato con lui, quelli che seguono la via del discepolato missionario possono vedere Dio. [10] In Gesù, Dio è diventato visibile nella nostra carne. Quindi vediamo in Lui tre caratteristiche principali. Sono realtà della “Parola” del Padre: è creativa, è “vita“, è “luce” ed è presente nel mondo in virtù dell’incarnazione. In esso dimora “gloria“, “grazia” e “verità“.

 

Per concludere, questa meditazione, ricordiamo le parole dell’evangelista alle comunità che sono nate e si sono diffuse in tutta l’Asia. Giovanni ha scritto: “Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta.[11]

 

[1] Cf. Lc 2,1-20

[2] Gv 1,1-18

[3] Cf. Gn 1,1

[4] Cf. Mt 2,1-15

[5] Gv 1,29

[6] Gv 8,12

[7] Cf. Hb 1,3; 4,15

[8] Is 6,5

[9] Gl 4,4

[10] Paolo descrive Gesù non solo come Paolo descrive Gesù non solo come la “immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura” (Cl 1.15), ma anche come”Cristo Gesù, uomo” (1Tm 2.5). Nel quarto vangelo ci sono altre indicazioni dell’umanità di Gesù come stanchezza, pianto e sete, ecc. Cf. Gv 4,6; 11,35; 19,28.

[11] 1Gv 1,1-4