Nella notte di Natale meditiamo una delle pagine più belle del vangelo di Luca, che mostra la semplicità di Dio che nasce in mezzo a noi e ci ispira nella preparazione del presepe.

 

L’evangelista enfatizzerà la “normalità” della nascita di Gesù Bambino, che la tradizione cristiana celebra tra la notte del 24 e il giorno 25 dicembre. La data fu scelta per contrastare la principale festa religiosa dei Romani, il Sole Invincibile, il solstizio. In effetti, con la cristianizzazione dell’Impero Romano, molte celebrazioni pagane furono associate alle feste cristiane. In ogni caso, è importante notare che i “vangeli dell’infanzia” non sono narrazioni innocenti degli eventi dell’infanzia di Gesù, elaborati per evangelizzare i bambini e promuovere l’immaginazione infantile, ma sono riflessioni adulte, rivolte a cristiani maturi nella fede. Questa è una chiave di lettura importante per le persone che già sono iniziate nella fede e che possono capire, senza ingenuità, il “Cristo Signore“.

 

“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio. Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo. C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l’angelo disse loro: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia”. E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste che lodava Dio e diceva: ‘Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama’.”[1]

 

Luca inizia la sua narrazione menzionando il grande imperatore Cesare Augusto (30 a.C al 14 d.C), che ordinò, dal suo potere, equiparato a una divinità, “un censimento di tutta la terra“. Il censimento imperiale non era una buona notizia per il popolo che conosceva questo strumento di dominio utilizzato per aggiornare il valore delle tasse e il numero di soldati che dovevano garantire il potere di Cesare. Era l’epoca d’oro della famosa “pace romana” vissuta dopo un periodo di molte guerre e turbolenze.

 

Nella Sacra Scrittura solo Dio ha l’autorità di ordinare il censimento del suo popolo. Tuttavia, il censimento di Dio non era quello di contare le persone, di ridurle a un numero per lo scopo del controllo, ma in modo che nessuno dei prescelti mancasse. L’evangelista, con delicatezza, affronta le due modalità di regnare: Cesare Augusto che vuole scoprire i dati e dominare il popolo e Dio che non vuole che nessuno dei suoi figli si perda.

 

Dopo aver situato la nascita di Gesù nell’arco della storia e aver segnalato il potere di Augusto su “tutta la terra“, Luca cita un altro grande personaggio: “Quirino era governatore della Siria“. In questo modo possiamo contestualizzare la narrativa del vangelo e confrontarci con le registrazioni dell’epoca. Più tardi, nel narrare l’inizio della vita pubblica di Gesù, l’evangelista ripeterà questa procedura. Lucas presenterà i personaggi, l’ambiente geografico e le date in un modo ben definito. Scrive: “Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.”[2] Tutto questo trasmise a Luca la reputazione di uno storico.

 

Dopo aver menzionato il grande imperatore Cesare Augusto e il governatore Quirino, l’evangelista cita Giuseppe, “che era della casa e della famiglia di Davide” che sale da Nazareth a Betlemme “per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta.” L’evangelista mostra il potere dei grandi di questo mondo e discende la scala raggiungendo l’umile bambino della mangiatoia. Cioè, Luca inizia con i grandi della terra per arrivare alla semplicità nella mangiatoia dove il neonato è al centro e ugualmente fa dal punto di vista sociale, politico ed economico sull’importanza dei personaggi: Cesare – Quirino – Giuseppe – Maria e infine il Gesù Bambino.

 

Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia.” Nell’affermare – “figlio primogenito” – l’autore sottolinea che Maria consacrò suo figlio al Signore, come insegnava la tradizione di Israele. Significa che il “figlio” non gli appartiene, ma è venuto per realizzare il disegno di Dio.

 

L’evangelista si preoccupa di mostrare la cura materna di Maria che “lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia.” Luca mostra la “normalità” di Gesù che è nato uguale a ogni persona e riceve la cura naturale di sua madre assumendo in tutte le cose la condizione umana e la nostra fragilità.

 

La “mangiatoia” ricorda la profezia di Isaia che critica Israele per non aver riconosciuto la presenza di Dio in mezzo a lui mentre il bue e l’asino lo riconoscono. Il profeta scrisse: “Il bue conosce il suo padrone e l’asino la mangiatoia del suo Signore“.[3] Alcuni studiosi mettono in dubbio la presenza di bue e asino a causa dell’assenza di documenti storici – nessun passaggio dei vangeli parla della presenza di questi animali – e il fatto che una donna difficilmente sceglierebbe di partorire in mezzo agli animali. La tradizione di mettere gli animali nel presepe trova la sua origine in un testo apocrifo del VI secolo, noto come il vangelo dello pseudo-Matteo. Il fatto è che la descrizione della scena con il bue e l’asino accanto alla Sacra Famiglia come appare in questo testo apocrifo ha avuto un grande impatto sull’immaginazione popolare.

 

Nell’affermare “perché non c’era posto per loro nell’albergo“, Luca non critica la mancanza di ospitalità degli abitanti di Betlemme, che è contraria alla buona reputazione di Israele di essere un popolo accogliente, ma sottolinea la necessità per Maria di partorire in un posto riservato, che sebbene fosse molto semplice era comune per le umili famiglie di quel tempo.[4]

 

San Cirillo d’Alessandria, vescovo e dottore della Chiesa, riconosce nella mangiatoia di Betlemme – nome che significa “casa del pane” – l’altare dell’umanità. Se gli animali trovano il loro sostentamento in essa, la mangiatoia ci ricorda anche l’altare dove abbiamo il vero pane che discende dal cielo in una chiara relazione tra: l’incarnazione, la morte di Gesù sulla croce e l’Eucaristia. Nel presepe Dio dichiara il suo amore appassionato per l’umanità. Non è nato nel palazzo di Cesare Augusto, ma in mezzo alla gente semplice e diventa uno di noi. Secondo Luca, Dio diventa fragile, impotente, ha bisogno della cura di una madre… Ma lui è il Salvatore del mondo: “Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore.

 

Per Luca quelli che vogliono trovare Dio devono cercarlo nella semplicità della mangiatoia e non tra i potenti di questo mondo. Per l’evangelista Dio è diventato un bambino, figlio della Vergine Maria e riceve la visita dei pastori che sono stati disprezzati ed emarginati, considerati impuri e quindi vietati di entrare nel tempio per pregare. I pastori avevano la cattiva reputazione di essere ladri e non potevano testimoniare a favore o contro qualcuno perché non meritavano fiducia. Ma a questi fu data la “grande gioia“, la buona notizia: “Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento. I pastori, “che vegliavano di notte” sono i primi ad incontrare “un salvatore, che è il Cristo Signore“, dopo aver ricevuto il vangelo – la buona notizia – dagli angeli. Gesù nasce nella periferia, lontano dagli ambienti importanti e dal centro del potere del regno di questo mondo. Vale la pena ricordare che ancora oggi ci sono bambini che nascono e muoiono in estrema povertà nelle periferie del mondo.

 

Le fasce che avvolgono il neonato segnano l’umanità di Gesù e indicano la sua morte sulla croce quando il suo corpo sarà avvolto in fasce per la sepoltura. Nel gesto della giovane madre abbiamo una profezia: Maria, che reclina il bambino nella mangiatoia, vedrà il figlio depositato nel ventre della terra avvolto in fasce.[5]

 

Il messaggio dell’angelo ai pastori è diretto: “Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia“. Non è un bambino diverso, con un alone luminoso e altri dettagli speciali, ma un neonato “avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia“. I pastori hanno trovato un Dio semplice in base alla nostra condizione umana. E improvvisamente appare una corte non come quella di Cesare Augusto, ma “una moltitudine dell’esercito celeste“. Cantavano lodi a Dio, dicendo: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama “.

 

P. Gilson Luiz Maia, RCI

 

[1] Lc 2,1-14

[2] Lc 3,1-2

[3] Is 1,3

[4] Il termo usato da Luca – “katalyma” – indica un albergo o una stanza dove forse abitava la famiglia di Giuseppe. Cf.1Sm 1,18; 9,22; Lc 22,11.

[5] Cf. Lc 24,53