Il vangelo di Matteo, scritto intorno agli anni 80 in un contesto palestinese per lettori di origine e cultura ebraica, è considerato la catechesi più completa sulla persona di Gesù – il nuovo Mosè – che ha adempiuto a tutte le promesse dell’Antico Testamento. Matteo inizia il suo libro presentando la genealogia di Gesù, che si estende da Abramo a Maria (cf. Mt 1,1-17).

 

Nell’orizzonte biblico è molto importante conoscere l’origine delle persone. Per gli israeliti conoscere il proprio passato significa riconoscere i propri diritti, i doveri e lo specifico posto nella società. Se nella genealogia di una persona in particolare c’erano personaggi rilevanti e famosi nell’ambito della storia del popolo di Dio, questa parentela si distingueva e la persona era apprezzata e riconosciuta per la sua stirpe. Sappiamo che di generazione in generazione erano trasmessi i costumi, la fede, la storia delle lotte e i sogni dei discendenti di Abramo (cf. Sl 44,2). Questo è il motivo per cui Matteo vuole iniziare il suo lavoro affermando: “Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo” (Mt 1,1).[1]

 

Dopo aver fatto una breve introduzione, che ricorda l’inizio del libro della Genesi (cf. Gen 1,1; Mt 1,1), Matteo presenta la genealogia di Gesù con cui inizia la nuova storia dell’umanità. Questa è una nuova creazione in cui il patriarca Abramo e il re Davide saranno solo illustri personaggi del passato. Gesù è il nuovo re, il culmine di una lunga storia di successi, sofferenze e speranze. Il Figlio della Vergine Madre è l’inizio della nuova creazione e la risposta di Dio agli aneliti del popolo di Israele e di tutta l’umanità. Nel suo messaggio troviamo le grandi aspirazioni dell’essere umano per la felicità, l’amore e la libertà. Il suo vangelo è una proposta di giustizia, fratellanza e vita piena. In Lui si scopre che la nostra vocazione – la chiamata finale – è il cuore di Dio.

 

L’evangelista descrive la genealogia di Gesù per confermare la sua identità e dimostrare che lui è veramente il Messia promesso. L’autore dimostra che Gesù è un discendente dei grandi chiamanti, come il patriarca Abramo e il re Davide. Così Matteo inizia a presentare Gesù ai suoi lettori, come il monarca di Israele, chiamato a formare il nuovo popolo di Dio come fece una volta Abramo, di cui è discendente ed erede. Gesù ha sangue reale per essere della discendenza di Davide e ha i diritti della promessa messianica. Pertanto, è il vero Unto (Messia = Cristo), che è venuto per adempiere i piani di Dio (cf. 2Sm 7,12-16; Is 55,3). Matteo afferma la maternità messianica di Maria che si è trovata incinta “per l’azione dello Spirito Santo” (Mt 1,18). Quindi l’evangelista, attraverso la genealogia, non solo indica la discendenza davidica di Gesù, ma mostra anche la ascendenza della storia di Israele che trova in Lui la sua pienezza e significato.

 

Matteo presenta la genealogia di Gesù in un modo molto elaborato, formando tre parti omogenee e racchiudendo l’intera storia della salvezza in 42 generazioni (3 x 14): da Abramo a Salomone (cf. Mt 1,1-6), da Salomone a Salatiel (cf. Mt 1,7-12) e da Salatiel a Gesù, chiamato Messia (cf. Mt 1,12-17). L’evangelista inizia con Abramo e termina con Gesù, dimostrando di essere il Messia annunciato e promesso nelle Scritture (cf. Gen. 12,3; Is 7,14; Ez 34,23-24; At 3,25; Rm. 1,3; 9.5).

 

L’autore del primo vangelo presenta la generazione umana di Gesù, comprese le donne di dubbia reputazione, per dimostrare che la vocazione e la missione del Figlio di Maria è di salvare l’umanità peccatrice (cf. Mt 9,13). Matteo menziona quattro donne che non appartenevano alla razza israelita, ma prendevano parte alla storia progettata da Dio: Tamar, che fingeva di essere una prostituta per assicurarsi la discendenza del suo defunto sposo (cf. Gen 38; Mt 1,3), la prostituta Racab, che coprì le spie israelite quando conquistarono la terra promessa (cf. Gs 2; Mt 1,5), Rut la povera vedova moabita (cf. Mt 1,5) e l’adultera straniera di nome Betsabea, moglie del generale Uria, che ha architettato la successione di Davide a suo figlio Salomone (cf. 2Sm 11; 1Re 1,11-40; Mt 1,6). Alla fine, Matteo menziona la quinta donna: Maria, la Madre di Gesù. Queste quattro donne segnano il perdono di Dio per tutti i peccatori che rappresentano. Indicano anche che l’amore divino oltrepassa i confini dell’ebraismo, raggiungendo le persone straniere e attraverso le rispettive realtà storiche, indicano le situazioni di difficoltà che segneranno la gestazione e il parto di Maria.

 

Alla fine della genealogia notiamo che l’evangelista, citando Giuseppe, evita il verbo “generare”, usato come ritornello in tutto l’elenco genealogico, ed evidenzia l’espressione “sposo di Maria” seguito in modo passivo: “dalla quale è nato Gesù.” Così Matteo dimostra che Giuseppe non partecipò al concepimento di Gesù, in quanto opera dello Spirito Santo. Osserva la frase di Matteo: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù” (Mt 1,16). Seguendo il normale schema della genealogia, Matteo dovrebbe scrivere: Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, Giuseppe generò Gesù. Così Matteo pone ai suoi lettori una domanda che sorge spontanea: se Gesù non è stato generato da Giuseppe, come può nascere da Maria? L’evangelista risponde quindi a questa domanda spiegando come è nato il Messia (cf. Mt 1,18-25).

 

Matteo, alla fine della genealogia, afferma: Giuseppe era un discendente diretto del re Davide e di Abramo (cf. Mt 1,17). Questa è una delle poche informazioni che abbiamo sulla persona di Giuseppe: non sappiamo nemmeno con certezza dove sia nato, quando e come sia stata la sua morte. In seguito, l’evangelista spiega la vocazione di Giuseppe: fu scelto da Dio per compiere l’importante missione di prendere la giovane Vergine di Nazaret come moglie e prendersi cura del ragazzo – discendente di Abramo e figlio di Davide – che nascerà dallo Spirito Santo. Nei seguenti versi l’evangelista confermerà la concezione verginale di Maria, la Madre di Gesù Cristo (cf. Mt 1,18-25).

 

  1. Genealogia vocazionale

Ogni vocazione ha la sua storia, la sua discendenza e il suo albero genealogico. Alcuni sono discendenti da una casta nobile e altri di origine semplice. È importante valorizzare le famiglie dei chiamati indipendentemente dalle loro condizioni socioeconomiche. Nei vangeli vediamo Gesù che chiama una persona ricca, come Zaccheo (cf. Lc 19,1-10), e povera, come il mendicante cieco Bartimeo (cf. Mc 10,46-52). Entrambi hanno avuto la vita trasformata e sono diventati discepoli del Maestro di Galilea.

 

Incarnandosi in una famiglia umana, Gesù segna la grandezza di questa istituzione e ne riceve influenza nella sua vocazione messianica. Nei Vangeli vediamo una serie di accenni al ruolo della famiglia nel tema vocazionale. I discepoli sono chiamati a lasciare le loro famiglie e a volte notiamo che appaiono come ostacoli alla loro realizzazione vocazionale: “Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me. E chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me ”(Mt 10,37; cf. 4,18-22; 8,22). Questo atteggiamento di Gesù verso le famiglie indica la sua preoccupazione per la formazione di un gruppo di discepoli non in contrasto con il nucleo di una famiglia naturale, ma secondo l’ideale della comunità escatologica.

 

Nelle prime comunità cristiane era accentuato il valore della famiglia e comprendevano meglio l’espressione “chiesa domestica”. In questo modo le persone aderivano alla fede con tutta la famiglia e nelle loro case celebravano la frazione del pane (cf. At 16,14-15).

 

Sin dal Concilio Vaticano II, la Chiesa ha pronunciato diverse dichiarazioni sul valore e sulla missione della famiglia. Il documento conciliare Optatam Totius afferma: “la famiglia é il primo seminario”.[2] In altri documenti troviamo diverse espressioni, come: “Chiesa domestica”,[3] “come immagine e partecipazione dell’alleanza d’amore del Cristo e della Chiesa”,[4] e molte altre definizioni che sono alla base della teologia della famiglia.

 

I Padri conciliari ricordano che lo scopo ultimo dell’educazione dei bambini è aiutarli a crescere e scegliere la loro vocazione con maturità. E’ sollecita un’attenzione speciale a coloro che manifestano il loro desiderio di una vocazione sacra. [5] Il documento di Puebla riconosce la famiglia come luogo privilegiato per coltivare le vocazioni, mentre nelle conclusioni della Conferenza di Santo Domingo la famiglia appare come il “santuario della vita”. La Conferenza di Santo Domingo indica la prospettiva di un’animazione vocazionale in collaborazione con la pastorale della gioventù e della famiglia. [6] La Conferenza di Aparecida ricorda il ruolo educativo della famiglia che celebra, trasmette e testimonia la fede. [7] Nel discorso di apertura di questa Conferenza, Papa Benedetto XVI ricorda che “la famiglia è patrimonio dell’ umanità ed è uno dei tesori più importanti del popolo.”[8]

 

  1. La missione vocazionale delle famiglie

Nella sua esortazione alle famiglie, il Papa Giovanni Paolo II ha detto: “La famiglia deve formare i figli alla vita, in modo che ciascuno adempia in pienezza il suo compito secondo la vocazione ricevuta da Dio. Infatti, la famiglia che è aperta ai valori trascendenti, che serve i fratelli nella gioia, che adempie con generosa fedeltà i suoi compiti ed è consapevole della sua quotidiana partecipazione al mistero della Croce gloriosa di Cristo, diventa il primo e il miglior seminario della vocazione alla vita di consacrazione al Regno di Dio.”[9]

 

Le famiglie aiutano e partecipano all’animazione vocazionale. Possono anche assistere nella guida vocazionale dei loro membri, in particolare di quelli più giovani, che hanno bisogno di passare attraverso le fasi del cammino vocazionale: svegliare, discernere, coltivare e accompagnare.

 

In passato, alcune istituzioni richiedevano una certa origine dai loro candidati. C’erano congregazioni religiose molto esigenti e in qualche modo elitarie. Oggi, alla luce della nuova realtà delle famiglie, spesso frammentate, si aspetta un’animazione vocazionale più aperta e attenta  ad aiutare e guidare i loro figli, seguendo l’esempio di Maria che accompagna Gesù del presepe fino alla croce.[10]

 

Anticamente i seminaristi provenivano da famiglie solide e sinceramente cattoliche, dove imparavano la devozione a Maria e ai santi. Oggi provengono da famiglie distrutte e da case in cui la fede e la religione hanno meno influenza. Molti genitori soffrono perché non possono aiutare i loro figli a studiare e svolgere una determinata professione. È significativo il numero di giovani che non hanno la protezione e il sostegno familiare quando fanno la loro scelta vocazionale. Sono anche prese in considerazione le politiche governative e le difficoltà socioeconomiche. Queste problematiche condizionano le famiglie nuove e in crescita.[11] In questo contesto, spetta agli animatori collaborare con i genitori nell’educazione vocazionale dei loro figli, sostenere le famiglie più bisognose e aiutarle ad integrarle nella comunità ecclesiale partecipando alla missione evangelizzatrice della Chiesa, che trova in Maria di Nazareth la sua figura più bella.[12]

 

[1] Nell’ Antico Testamento abbiamo genealogie di molti personaggi importanti della storia del popolo di Dio: Noè (cf. Gen 5,1-32); Abramo, figlio di Sem (cf. Gen 11,10-32); Mosè e Arano (cf. Ex 6,14-27); Davide (cf. Rt 4,12.18-22). I figli di Barzillài sono stati esclusi dal sacerdozio perché non apparivano nel registro genealogico (cf. Esd 2,61-63).

 

[2] Optatam Totius, n.2.

[3] Lumen Gentium, n. 11.

[4] Gaudium et Spes, n. 48.

[5] Apostolicam Actuositatem, n. 11.

[6] Cf. Puebla, n. 851; Santo Domingo, nn. 79-80.

[7] Cf. Aparecida, n. 118.

[8] Discorso inaugurale di Benedetto XVI nella V Conferenza Generale dell’Episcopato Latino-americano, Palavras do Papa Bento XVI no Brasil, Paulinas, São Paulo, 2007, p. 121.

[9] Cf. Familiaris Consortio, n. 53

[10] Cf. Aparecida, n. 267.

[11] Cf. MAIA, G. L., Animação Vocacional na América Latina, desafios e perspectivas no início do século XXI, Instituto de Pastoral Vocacional, São Paulo, 2005, pp. 9-13.

[12] Cf. Lumen Gentium, 63.